
L’arrivo all’Havana via aereo è drastico, come previsto. Il
salto dai -5 italiani ai + 30 è netto, ma in fin dei conti gradevole e
stimolante, che dite? I miei primi giorni nella capitale son piuttosto intensi
e rocamboleschi, in ordine al cambio di costumi, abitudini e...esigenze
primarie! Ho la fortuna e l’onore di
essere ospitato da 2 “Habaneras”, madre e figlia residenti all’Havana amiche di
Miriam, un’amica musicista di Città del Messico. Tradotto significa: possibilità di conoscere con mano usi e
costumi locali, tradizioni, modo di vivere ma...anche tutta una seria di
difficoltà e controindicazioni che vivere a Cuba e all’Havana, comportano. La
doccia è un rigagnolo da catturare col secchio, il letto una serie di molle
appuntite per una prolungata sessione di agopuntura notturna, la “comida”... un
monologo di riso e frutta. Ciò nonostante, e come spesso capita, la
disponibilità, l’attenzione l’affetto che ricevo sono subito tangibili e
contagiosi. Si crea immediatamente un bellissimo clima e le basi per un’ottima
amicizia.
La comune conoscenza di Miriam è il ponte per lunghe chiacchierate sulla
musica. La stessa passione per la musica il viatico per discussioni sul
folklore cubano, la storia del paese e la sua cultura.
Apprendo subito le ristrettezze con cui convivono i Cubani, le sacche di
estrema povertà e le difficoltà per campare. Tuttavia, con la stessa dignità e
un pizzico di orgoglio, vengo messo a conoscenza della qualità dell’istruzione
(completamente gratuita), del primato mondiale cubano nel campo medico e del
libero accesso alle possibilità di arricchimento culturale. Teatro, cinema,
sport e corsi di varia natura qui a Cuba sono alla portata di tutti, per pochi
pesos cubani o del tutto gratis. La conversazione si snoda lungo le affollate
calles della città in direzione Centro Habana.
Una bizzarra serie di veicoli o “mezzi di trasporto” mi danno il
benvenuto sull’isola. Bicitaxi, carrozze
trainate da cavalli, apetaxi, camion russi degli anni ’70 e uno sterminato
elenco di auto americane degli anni ’50 colorano il traffico urbano.
Benarrivati nel paese dove il tempo si è fermato! Miriam mi spiega subito che
l’eredità americana e poi sovietica è ancora ben tangibile. In un paese dove la
Rivoluzione del ’59 ha stroncato un regime sorretto dagli Americani e dalla
loro malavita e dove per 30 anni si è vissuto sorretti dalla stampella
economica dell’Unione Sovietica il mondo globalizzato e i suoi riti
consumistici sono un lontano miraggio!
Visitiamo l’Hotel Nacional de Cuba, spettatore fidato di quasi un secolo di
storia Habanera. Al Capone, Carter, Churchill ma anche Benny Morè, Compay
Segundo e altri artisti cubani e non hanno visitato le sue stanze. Di seguito
un piccolo grande museo dedicato alla crisi dell’Ottobre ’62, ospitato nei
bunker sotterranei costruiti per fronteggiare un’eventuale attacco Americano.
La guida è un anziano ex militare che visse quei giorni di stanza nella milizia
cubana, quando il mondo si trovò ad un passo dalla terza guerra mondiale.

Spiega la nascita dell’embargo americano e dei vari retroscena sull’intreccio
politico CUBA-URSS-USA di quei giorni. I giorni seguenti sono dedicati alla
scoperta di Plaza de la Revolucion con i suoi murales dedicati a Fidel Castro e
Che Guevara (vedi post precedente) e all’Habana vecchia considerata a ragione
patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Il suo intricato dispiegarsi di vie e
viuzze, le sue piazze e gli edifici coloniali omaggianti l’Art Decò, il Barocco
e il Neoclassico europeo si stagliano contrastanti sulla fatiscenza dei vecchi
edifici residenziali e brillano di una luce romantica e decadente. La sera è
tempo di ascoltare un po’ di musica cubana suonata da un’amica di Karla, la
figlia clarinettista di Mariel. Prendiamo posto all’Hotel Parque Central e nel
mentre progettiamo la nostra gita a Vinales, una lussureggiante valle a 4 ore
ovest dall’Havana.
Il giorno dopo una Chevrolet rosso sgargiante del 1951 ci aspetta sotto casa. A
guidarla 2 conoscenti di Mariel che ci offrono il viaggio a 80 Cuc per tutta la
valle, andata e ritorno.
Il viaggio è speciale, sembra di essere in una pellicola americana del periodo
d’oro di Hollywood. La macchina con sedili di pelle in tinta, uniti davanti e
dietro, sputa gasolio mal combusto lungo una strada colorata da terra color
ruggine, piantagioni verde tabacco sotto un cielo turchese e sgombro di nuvole.
All’arrivo nel pittoresco paesino omonimo, solo il tempo di cambiare qualche
euro in Pesos Convertibles nella cadeca locale, poi via di nuovo, sul percorso una
piantagione di tabacco in raccolta, le tipiche grotte carsiche della zona, il
murales più grande del mondo dipinto su una montagna e lezioni di sigaro cubano
con un contadino.


Il rientro è romantico, fermi in un parcheggio a mangiare il nostro pranzo al
sacco ci immaginiamo in un drive in americano, a guardare un film comodamente
seduti in macchina. Lungo il rientro fitta conversazione con Karla sulla sua
passione per la musica, la lontananza dalla gemella violinista ora residente in
Costa Rica e le possibilità per i Cubani di un futuro migliore, liberi arbitri
della propria vita invece che passivi sostenitori di un sistema, che per quanto
retto da solidi ideali, li opprime e limita.